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I risultati del seminario sulle migrazioni

Conclusioni operative di Mario Campli all'incontro svoltosi a Roma il 13 giugno 2016 e promosso dal CeSLAM e dalla Rivista "Confronti", con la collaborazione del CNR - Dipartimento Scienze Umane e Sociali, Patrimonio Culturale e dell'IDOS e con il Patrocinio della Rappresentanza della Commissione Europea, della Regione Lazio e del Municipio Roma V

diceriadelluntore

Per una messa a fuoco dei filoni di impegno e di lavoro del CeSLAM

  • Uno dei filoni più importanti di attività di studio e di azione della nostra associazione è quello relativo al rapporto tra cittadinanza, sviluppo locale e governance nelle comunità-territori di Roma. Per contribuire a che i Municipi possano essere protagonisti di veri e propri percorsi partecipativi di sviluppo locale, con una strumentazione adeguata;
  • È necessario, quindi, individuare in modo scientifico gli attori locali in grado di intervenire positivamente nello sviluppo locale.
  • Tra questi “attori”, attuali o potenziali, ci sono certamente le comunità dei migranti.
  • Il CeSLAM intende la società locale come bene relazionale e capitale sociale, ovvero come interazione stabile e vivificante tra comunità, società civile ed ente locale di prossimità.
  • Per l’elaborazione e la realizzazione di un progetto di ricerca-azione,  il CeSLAM ritiene necessario   confrontarsi con tutti i  protagonisti dell’accoglienza e delle varie forme di integrazione,  per mettere a disposizione (e quindi in valore) le sue specifiche conoscenze e specializzazioni;
  • Procedendo con due vincoli-opportunità: evitare di  occupare spazi di impegno sociale e politico già ben coperti da altre forme associative specializzate; rendersi disponibile a studiare, approfondire e sperimentare, forme di integrazione / interazione specifiche, utili allo sviluppo della “società locale”.
  • La “ipotesi di lavoro” che intendiamo sottoporre a verifica è la seguente:
  1. Muovere dalla costatazione che – in termini e su scala nazionali – i migranti sono una risorsa. L’ultima affermazione viene dalla competente ed autorevole fonte del presidente dell’INPS, l’economista Tito Boeri: “gli immigrati versano ogni anno nelle casse della sicurezza sociale dell’INPS 8 miliardi e ne ricevono 3, quindi il saldo è positivo; non è vero che drenano le nostre risorse. Anzi, spesso versano contributi ma per una serie di ragioni poi non riscuotono la pensione per cui il loro ‘dono’ perché di questo si tratta, è pari ad un punto di PIL” (intervista al “Festival di Repubblica delle idee”, 6 giugno 2016). Sullo stesso argomento, e con un impianto collaudato di ricerca, si veda  anche: “Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione”, edizione 2015 della Fondazione Moressa, edito da “Il Mulino”, “Stranieri in Italia: attori dello sviluppo”.
  2. Collocarsi nella  componente “integrazione” (della “triade” : accoglienza-integrazione-redistribuzione, che caratterizza il flusso delle migrazioni verso l’Europa).
  3. Con un “Focus” sui: “Nuovi bisogni e nuove forme di integrazione”.
  4. Procedere all’elaborazione e realizzazione di un progetto di ricerca-azione, centrata sulla ipotesi di lavoro del co-sviluppo tra paesi di origine e territori di accoglienza;
  5. Individuando a) negli imprenditori/lavoratori autonomi immigrati i protagonisti potenziali; b) e negli imprenditori/lavoratoti autonomi dei territori di accoglienza  dei partner  intelligenti ed interessati.
  6. Interclocutori di questo “viaggio  nello  sviluppo locale” saranno, in primis:
  • le comunità dei migranti
  • le organizzazioni degli imprenditori dei territori di accoglienza
  • gli istituti di credito, esperti e co-protagonisti della “inclusione finanziaria dei migranti”
  • università, centri studi e ricercatori
  • gli attori principali dell’accoglienza (prima interfaccia dell’accesso del migrante nel territorio)
  • in generale tutti i soggetti del Terzo Settore (ora con in più la risorsa di una riforma profonda delle proprie basi giuridiche ed istituzionali)
  • i Municipi di Roma.

 

Nel contesto di un pensiero scientifico del fenomeno migratorio, di cui si riassumono gli elementi essenziali:

(i numeri)

  • Un fatto sociale, economico e, anche politico, non emergenziale e neppure nuovo;
  • Non siamo di fronte ad una “invasione”. Una indagine internazionale, condotta da Ipsos in 14 e 33 Paesi, ha elaborato un “indice di ignoranza” che classifica la discrepanza tra le percezioni dei cittadini e la realtà su aspetti sociali. Alla domanda: “quale è la percentuale di immigrati nel tuo Paese”, la risposta in Italia è stata: 30% (mentre la realtà è 7-8%); alla domanda: “Nel tuo Paese, su 100 persone, quante sono musulmani-e”, la risposta è stata: 20 % (mentre la realtà è 4%) (cfr: Nando Pagnoncelli, Dare i numeri, EDB, Bologna 2016).
  • Gli umani che vivono in un paese diverso da quello di nascita: erano 154 milioni nel 1990, 232 milioni nel 2013: il 3,2% dell’intera popolazione mondiale (2,9% tredici anni prima). Tra i Paesi riceventi, l’Italia è all’11° posto;
  • Si espande la famiglia di coloro costretti a fuggire dalla loro terra: i profughi sono quasi 60 milioni nel 2014 (in teoria la 24ᵃ nazione al mondo);
  • Le direttrici di flusso Sud-Nord e Sud-Sud rappresentano ciascuna poco più di un terzo delle migrazioni totali; a ricevere i rifugiati sono all’86% i paesi “in via di sviluppo” (cosiddetti poveri); per il 25%, sono i “meno sviluppati” (poverissimi);

(gli antefatti)

  • L’esplosione delle migrazioni forzate ha una primaria radice geopolitica: la decomposizione degli Stati post-coloniali fra Medio Oriente, Africa ed Europa sud-orientale;
  • In questo contesto dobbiamo intendere i flussi verso l’Europa, continente trasformatosi nel giro di un secolo da soggetto colonizzatore a luogo di rilevanti quote dei suoi ex-colonizzati.  Dal fatidico 1990 discrimine fra l’ordine della guerra fredda e il non troppo creativo disordine seguente, lo stock migratorio (stranieri più persone nate fuori del paese di residenza) è cresciuto della metà, sicché oggi comprende un abitante ogni dieci europei (cfr : “Chi bussa alla nostra porta” – Limes, 6/2015).
  • In quanto europei, cittadini della Unione Europea, ricordiamo che nel “fatidico” 1990, noi festeggiavamo la riunificazione della Germania; la polvere del crollo del Muro si era appena depositata e anche gli echi delle festa erano spenti; nel 1991 era imploso l’impero sovietico, alle porte (1992) si profilava il “Trattato di Maastricht” (quello in cui venivano decisi il nome di “Unione Europea” e la introduzione della moneta unica “euro”). L’integrazione europea, stava di fronte alla responsabilità di un cambiamento profondo: non più fare (soltanto) i conti con le ferite delle guerre fratricide passate, ma (soprattutto) attrezzarsi per “fare i conti” con il ‘Mondo’ . La crisi europea attuale comincia in quegli anni cruciali, peraltro molto vicini a noi. Quella consapevolezza e quelle responsabilità non furono adeguatamente acquisite. E il processo di integrazione cominciò a manifestare le sue fragilità; e i gruppi dirigenti degli Stati membri cominciarono a manifestarsi incerti, paurosi, inadeguati. È questa la situazione attuale – politica e strategica –dell’Unione.
  • Anche la specifica inadeguatezza delle politiche per le Migrazioni ha le radici nei ritardi a prendere coscienza dell’accelerazione delle turbolenze globali e dell’assenza di molte politiche europee – comuni e integrate – per governare questa nuova complessità, nella quale Europa è collocata: della Difesa comune, dei Confini esterni dell’Unione, come bene comune europeo (e non degli Stati membri), delle Migrazioni (che ancora oggi non è una “politica comune”, ma soltanto una politica intergovernativa, coordinata nell’Unione europea; a mezzadria tra una “politica estera” europea che non esiste e una “politica interna e della giustizia” europee, che sono di “competenza concorrente”).

(le politiche)

  • Le relazioni e gli interventi dei relatori al Seminario “Migranti, interazione, integrazione, sviluppo – dall’Europa ai territori metropolitani” confermano che il fenomeno ha molte sfaccettature, che richiedono flessibilità e molto equilibrio  per governarlo;  un  “governo”  che deve misurarsi – contestualmente – con la triade: accoglienza nella Unione – ricollocamenti all’interno della Unione – rimpatri condivisi con i paesi di origine.
  • “Le specie umane migrano da almeno 2 mila anni. Il cervello dell’homo sapiens è cresciuto e, con esso, la flessibilità adattiva e la capacità migratoria. Gli esseri umani sono evoluti anche grazie alle Migrazioni: questa è una delle ragioni per garantire la “libertà di migrare”. Ma la libertà di migrare è sola una faccia della medaglia. Essa si realizza e si configura come tale solo se non  è forzata “ (cfr. V. Calzolaio-T.Pievani, Libertà di migrare, Einaudi, 2016).
  • L’altra faccia della medaglia della libertà di migrare è il “diritto a restare” nel proprio paese. Affinché questo diritto non sia sono una enunciazione o un auspicio, occorre una strategia politica.
  • Il Migration compact si  basa sull’equilibrio tra e di: “libertà-diritto”. Se ben realizzata può configurarsi come una componente di una moderna politica della cooperazione internazionale, concordata e condivisa con gli interlocutori; anche nel quadro di una necessaria “politica demografica” che presenta  connotazioni molto diversificate nel Nord e nel Sud del mondo. Ora – nell’immediato – il Migration compact potrebbe apparire una manovra per attenuare il flusso di uscita; e può in effetti anche essere così, ma nel contesto di una coerente “politica estera” e una “nuova, mirata e aggiornata politica di cooperazione internazionale”, può costituire un volano di diverse relazioni internazionali dell’era della globalizzazione, non indifferente ai destini e alla vita delle persone.
  • I “corridoi umanitari” – una iniziativa della società civile – si inscrive anche essa in questa presa d’atto (civile e umana) della duplice necessità a rispondere alla liberta di emigrare e al diritto a restare; costituiscono una forma speciale della accoglienza (non si deve quindi farle carico della integrazione) e, per essere efficace ed utile, deve collocarsi in stretto rapporto con la insopprimibile responsabilità delle Istituzioni – presenti nei Paesi di origine e nel Paese di arrivo. Non avrebbero un futuro se fossero programmate “a prescindere”.

(alcune consapevolezze)

  • D’altra parte gli immigrati sono per Europa la speranza contro la vecchiaia (ultimi dati pubblicati da Eurostat): l’età media della popolazione europea è aumentata di sei anni da 36,2 nel 1994 a 42,2 nel 2014. L’Europa è di gran lunga il continente più vecchio del pianeta e sta invecchiando sempre più rapidamente. Ne conseguono problemi economici e sociali di tenuta delle società europee, enormi. Altro che costruire nuovi muri: per perimetrare futuri ospizi? L’Italia è già ora il Paese con il tasso di anzianità più alto, con un’età mediana di 44,7 anni; la Germania 45,6; solo Irlanda, Cipro e Regno Unito registrano una età mediana leggermente al di sotto dei 40 anni. (Attenzione: quei numeri sono la “età mediana” da non confondersi con la media delle età).
  • È manifestazione di strabismo e quasi di follia – a fronte di questa fotografia dello stato dell’Unione – che l’Europa viva come una tragedia epocale non tanto il proprio declino demografico, ma l’aumento del fenomeno migratorio che sembra l’unico in grado di frenare il declino stesso.

(l’Europa)

  • Il titolo ed anche l’approccio, mirato e non casuale, del Seminario di riflessione evidenziano che prioritario e strategico è che l’Unione Europea batta un colpo. Quando si dice “Unione Europea” si intende sempre: le  sue proprie Istituzioni europee (Parlamento, Consiglio, Commissione)  e i 28 Stati membri.
  • I ritardi nella definizione di complete  politiche e di efficaci  strumenti – istituzionalmente “comuni” – fanno  apparire il fenomeno migratorio come un calamità naturale irrisolvibile, producendo una catena della instabilità e della irresponsabilità nei sistemi sociali  ed economici delle società dei Paesi membri dell’Unione; soprattutto di quelli che la posizione geografica mette, immediatamente,  di fronte agli obblighi di accoglienza (anche di natura internazionale) o agli inevitabili accessi.
  • Il metodo intergovernativo – poco europeo e molto spesso conflittuale – si sta dimostrando assolutamente inadatto.
  • L’auspicio è che il prossimo 28 Giugno (riunione del Consiglio europeo: i capi di Stato e di Governo dei 28 Stati membri) sia una data significativa per mettere a valore – con riforme (“Dublino”, ricollocazioni certe, Confini esterni, Azione di co-sviluppo con i Paesi di origine) e nuovi strumenti (europeizzazione dell’accoglienza) – le amare esperienze fatte (chi più, chi meno!) dai 28 Paesi membri,  in questi duri anni; giorno per giorno!

One Response to I risultati del seminario sulle migrazioni

  1. Amalia Ghisani Rispondi

    18 giugno 2016 a 08:59

    Assai interessanti conclusioni. Vorrei ricevere sempre notizie dei vostri seminari e pubblicazioni

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