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L’art. 7 della Costituzione è incostituzionale?

Sarebbe molto più coerente con i principi costituzionali fondamentali che la Chiesa cattolica fosse considerata alla stregua di ogni altra Associazione riconosciuta e tutelata come tutte queste, tenendo conto in particolare delle sue finalità di culto

Firma_dei_Patti_Lateranensi

Affermare, o soltanto avanzare l’ipotesi che un articolo della nostra Costituzione sia incostituzionale appare a prima vista assurdo “per la contraddizion che nol consente” e oggi, in tempi di sospetto, può sembrare addirittura un tentativo di inserirsi in quel magma dissacrante che sta corrodendo le basi della nostra società.

Mi servo tuttavia di questa provocazione per richiamare l’attenzione sulla “incompatibilità oggettiva”, che spero di dimostrare, di tale articolo con le altre norme fondamentali contenute nella prima parte della nostra carta fondamentale, e in particolare con gli articoli 1 e 3.

Riporto questi articoli insieme al settimo sperando che già una loro lettura sinottica apra uno spiraglio di dubbio per più approfondita riflessione:

art. 1:

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

art.  3:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere…”.

Art.  7:

“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”.

La prima e sorprendente constatazione che deriva dal confronto  fra l’art. 1 e l’art. 7 è che entrambi hanno come destinatari gli stessi individui, i quali perciò si trovano a essere nello stesso tempo – caso unico al mondo per quanto sappia – soggetti e destinatari di due sovranità concorrenti.

Il cittadino italiano, infatti, da un lato condivide con tutti gli altri cittadini i diritti e i doveri connessi con la sovranità statale; dall’altro, se battezzato, è anche cittadino del Popolo di Dio che costituisce la Chiesa, e come tale partecipe della sovranità a questa riconosciuta. E’ appena il caso, infatti, di rammentare che la Chiesa non è costituita, come spesso si tende a ritenere anche dopo il concilio Vaticano II e come forse ritenevano i padri costituenti, da un complesso di strutture (Papa, “Santa Sede”, Cardinali, vescovi ecc.) ma dalla totalità dei battezzati organizzata in un certo modo (cfr. Costituzione dogmatica Lumen gentium §§ 9 e sgg.)

La seconda, anch’essa sorprendente, constatazione è che, mentre l’art. 3 proclama che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge… senza distinzione di religione…, nell’art. 7 compare una religione, quella cattolica, la quale conferisce ai suoi appartenenti uno status speciale, che li fa diversi da tutti gli altri cittadini.

Mi rendo conto che oggi queste note possono apparire di interesse soprattutto teoretico: la relativa tranquillità dei rapporti attuali tra le due entità (Chiesa cattolica e Stato) fa emergere solo in determinate circostanze picchi di differenza conflittuali (riaffiorante clericalismo che invade spazi laici; scandalo dato da privilegi residuali come le cappellanie militari o ospedaliere; insegnamento della religione cattolica nelle scuole; ripartizione dell’8 per mille; privilegi fiscali, ecc.) mentre si notano anche importanti sinergie (la Chiesa cattolica che integra, nella società, lacune statuali, mentre il contrario è impensabile). Tuttavia lo scarto giuridico sopra riferito tra l’art. 7 e i principi fondanti della Costituzione permane e, in circostanze politico-religiose diverse dalle attuali, può deflagrare in aperto conflitto e coinvolgere in campi opposti le coscienze di ciascuno. Vediamo di approfondire.

Se si usa una lente di ingrandimento, vedremo che il concetto di “sovranità” è molto diverso nei due ordinamenti. In particolare:

  • nello Stato essa appartiene originariamente al popolo, che, come abbiamo visto, la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione;
  • nella Chiesa appartiene a Dio che, in attesa di manifestarsi personalmente, la esercita sulla terra secondo la sua volontà sempre libera ma espressa in particolare nelle “sacre scritture” ed interpretata da una gerarchia autoriproducentesi.

[Resta fuori da tutto questo ragionamento la sovranità del Pontefice sullo Stato della Città del Vaticano, che riguarda solo i cittadini di quello Stato e i suoi possedimenti territoriali e che è soggetta alle norme del diritto internazionale. A questo ambito internazionale e non ad altri si riferisce l’art. 11 della Costituzione quando prevede che (l’Italia)…”consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”].

Nel primo caso dunque il cittadino concorre o dovrebbe concorrere, secondo coscienza, all’esercizio del governo. Nel secondo questa possibilità gli è oggi, e da gran tempo, del tutto preclusa. Egli (il cittadino cattolico) può peraltro appellarsi ad una entità anteriore alla Chiesa stessa, emanazione diretta della divinità e su tutti diffusa, per esercitare, da solo o con altri,  pressioni di vario genere per orientare lo sviluppo della Chiesa appunto,  che in teoria dovrebbe, come organismo vivente, essere sempre aperta all’evoluzione dei tempi. La docilità allo “Spirito creatore” può manifestarsi al suo interno, per così dire, in modo “istituzionale” attraverso sistemi sinodali, o in modo “rivoluzionario” attraverso figure profetiche o rotture traumatiche (scismi).

Questo continuo (dialettico o conflittuale) rapporto con la società civile può portare e ha portato nel corso dei secoli a scontri anche violenti tra potere civile e religioso, tendenzialmente portato, quest’ultimo, a ritenersi superiore all’altro quanto Dio è superiore alla terra. Per non rivangare la storia passata faccio un esempio che appartiene ai giorni nostri ed è quindi ancor più significativo.

Quando, il primo gennaio 1948, entrò in vigore la nostra Costituzione, si trovarono sanciti in essa libertà e diritti civili che contrastavano clamorosamente con l’ordinamento ecclesiastico ma che erano stati voluti e votati dalla stragrande maggioranza degli stessi costituenti militanti nel partito cattolico. E’ noto che lo stesso Benedetto Croce, pensatore laico, invocò, sull’Assemblea costituente che iniziava i lavori, l’assistenza di quello Spirito Creatore che, a rigore, non si sarebbe dovuto occupare di assemblee laiche per di più  frequentate da comunisti.

La Costituzione proclamava, ad esempio, la libertà di religione mentre questa era considerata ancora dalla Chiesa, come ai tempi di Pio IX, un deliramentum; la Costituzione affermava che i cittadini erano uguali davanti alla legge indipendentemente dalla loro fede, ma i cittadini ebrei secondo la Chiesa erano “deicidi” e si pregava perché si pentissero di questa loro “perfidia”; era vietato ai cattolici, sotto pena di peccato mortale, non solo frequentare ma anche soltanto entrare in un edificio di culto riformato; i “Patti lateranensi” recepiti sic et simpliciter dall’art. 7 erano ancora quelli sottoscritti da Mussolini e dal card. Gasparri e prevedevano che quella cattolica fosse la sola religione dello Stato, con  gravi riflessi sul diritto familiare e sulla coscienza dei fedeli di altre religioni che si vedevano discriminati. Un esempio vale più di mille parole: tra due coniugi separati, uno dei quali di non limpidi costumi ma cattolico e l’altro protestante di specchiata moralità, i figli erano affidato al primo perché era il solo che potesse educare la prole secondo la religione “dello Stato”.

Acqua passata, si dirà. Anche perché molti degli attriti teorici e pratici di cui si è parlato sono stati eliminati grazie alle innovazioni introdotte con il Concilio Vaticano II, prima,  e poi con la riforma dei Patti lateranensi concordata tra Stato e Chiesa nel 1984.  Tutto a posto, dunque? Io ritengo di no: permane la segnalata anomalia  dell’art. 7 la quale, da concettuale, può in un determinato e non  tanto improbabile contesto socio-politico, divenire fonte di nuovi e laceranti conflitti.

Supponiamo infatti che le attuali vicende politiche e religiose evolvessero da un lato (Chiesa) verso il prevalere di posizioni conservatrici e restauratrici; dall’altro (Italia)  verso governi improntati a  esasperato “sovranismo”.

Già si vedono i prodromi di tale contrasto quando si confrontano certe prese di posizione xenofobe del nostro Governo con gli inascoltati appelli del Papa all’accoglienza dei migranti. Già si criticano come eccessivi i fondi a disposizione delle Associazioni del volontariato, spesso vicine alla Chiesa cattolica. Frequenti (e giuste a mio avviso) sono le critiche al sistema di ripartizione dei proventi  dell’8×1000. Chi può escludere che in un futuro anche prossimo un governo in affannosa ricerca di fondi per mantenere promesse elettorali non coaguli una serie di scontenti per orientare l’opinione pubblica al superamento unilaterale dello stesso criterio di finanziamento della Chiesa cattolica? Già si attaccano i finanziamenti (veri o presunti) alla stampa, sentita come parassitaria; come escludere che si rimettano in discussione i privilegi finanziari riconosciuti, in epoche di prima repubblica, ad una Chiesa in netto calo anagrafico rispetto ad allora e “non eletta dal popolo”?

Ma in un contesto di radicalizzazione come quello prima ipotizzato (Chiesa conservatrice e governo sovranista) è assai improbabile l’ipotesi di una modifica consensuale dei Patti. Allo Stato non rimarrebbe allora che una denuncia unilaterale di questi ultimi e l’abrogazione in tutto o in parte, con legge costituzionale, dell’art. 7.  A questo punto una Chiesa di impronta tradizionalista e conservatrice non potrebbe non reagire. Anche senza dissotterrare l’ascia di guerra pastorale usata in altri tempi (per esempio scomunicando il Capo dello Stato e le alte cariche pubbliche  e sciogliendo queste ultime dal giuramento di fedeltà come avvenne nel 1860) si determinerebbe comunque una convivenza piena di problemi e di contraddizioni, anche a livello di coscienza personale. Segno premonitore è già oggi il grave vulnus inferto all’applicazione della legge 194/78 sul divorzio da parte dei medici cattolici obiettori di coscienza.

Qualcuno dirà che ho descritto una visione allarmistica e improbabile. Lo spero. Ma, rimanendo alla realtà, è innegabile che questo art. 7, frutto di un compromesso tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista che cercava così, inutilmente, di legittimare la sua presenza al governo della nazione, è un ircocervo giuridico che molti problemi ha già dato e altri ne potrebbe dare in futuro. Sarebbe molto più logico e coerente con i principi costituzionali fondamentali che la Chiesa cattolica fosse considerata alla stregua di ogni altra Associazione riconosciuta e tutelata come tutte queste, tenendo conto in particolare delle sue finalità di culto. Lo Stato della Città del Vaticano continuerebbe naturalmente ad esse riconosciuto a tutti gli effetti come un qualsiasi altro Stato sovrano.

Mi pare di avere quanto meno evidenziato l’anomalia progressivamente ingravescente dell’art. 7 che anzi ho provocatoriamente definito “incostituzionale”. Certo, la Suprema Corte  non potrà mai dichiarare tale incostituzionalità. Sarebbe un atto eversivo. Può invece dichiarare non conformi alla Costituzione quelle leggi che pur invocando come base di riferimento quell’articolo, mostrassero contenuti incostituzionali.

Ma potrebbe anche accadere che una evoluzione positiva della Chiesa porti quest’ultima a mettere in pratica un prezioso e finora trascurato suggerimento contenuto nel § 76 della Costituzione pastorale Gaudium et spes approvata dal Concilio Vaticano II il 7 dicembre 1965: “Certo, le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo, sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni.” [corsivo mio]

Antonio Guagliumi. antonio.guagliumi@alice.it

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